«Quando sei solo con te stesso non puoi mentire.»
Quando si parla di Norvegia nell’immaginario collettivo appaiono tipicamente loro, le Lofoten. Considerate uno dei posti più belli al mondo con i rorbuer abbarbicati alle rocce sull’acqua, le montagne che si tuffano a capofitto tra le onde, strade che costeggiano il mare, villaggi di pescatori e gli immancabili essicatoi dello stoccafisso. Ma cosa rende così speciali le Lofoten?
Un complesso di cinque isole principali – Austvågøy, Gimsøya, Vestvågøy, Flakstadøya e Moskenesøya – e due minori – Værøy e Røst – un tempo raggiungibili esclusivamente a mezzo di chiatte, oggi collegate da una rete stradale, la Lofast E10, considerata una delle più belle strade del Nord. cenografici ponti dalla volta arcuata e tunnel (di cui alcuni sottomarini), che nell’insieme compongono l’arcipelago norvegese noto non solo nel mondo turistico ma in quello del mercato ittico. In un’armoniosa combinazione la popolazione si adatta all’ambiente e viceversa. Non a caso i ponti delle Lofoten hanno una forma tanto peculiare, detta a dorso di mulo, essa difatti permette il passaggio delle imbarcazioni usate per la pesca. Da quasi un millennio qui si è messa a punto la tecnica perfetta per la preparazione di una materia di prima scelta esportata in tutto il mondo: lo stoccafisso. Il Tørrfisk delle Lofoten ancora oggi rappresenta l’eccellenza. Il merluzzo qui viene lasciato essiccare in maniera sapiente al sole ed al vento sugli appositi sostegni di legno, una volta raggiunta la giusta maturazione, viene esportato a livello internazionale. Tra i paesi acquirenti c’è anche l’Italia, che annovera nella tradizione culinaria di molte delle proprie regioni l’impiego di stoccafisso.
Il clima mitigato dalla corrente del Golfo garantisce temperature non eccessivamente rigide anche nei mesi invernali. Raramente si scende di molto sotto lo 0°. Certo il meteo cambia in maniera repentina e si passa da una giornata soleggiata, ad una lieve nevicata fino a vere e proprie bufere nel giro di pochi istanti. Le strade vengono pulite spesso, agevolando la circolazione. Basti pensare che nessuno dei locali usa gomme chiodate in inverno. Può capitare ugualmente che le strade vengano chiuse senza preavviso, sopratutto durante le giornate nevose e ventose. Se ai bordi della strada ci sono grossi cumuli di neve, questa viene trasportata lungo la carreggiata fino a coprirla del tutto e non solo: si solleva nell’aria al punto da rendere tutto completamente invisibile.
Notevolmente al di sopra del Circolo Polare Artico (sono collocate al 68° parallelo), rappresentano il luogo perfetto per osservare l’Aurora Boreale nei mesi invernali ed il Sole di Mezzanotte in quelli estivi, proprio grazie alla morfologia delle coste, che offrono un panorama unico nella fattispecie. Bisogna ricordare che, come d’estate il sole permane a lungo nel cielo fino a non tramontare mai nel mese di giugno (e anche per alcuni giorni di maggio e luglio), durante l’inverno ci sono dei periodi di buio perenne o quasi, quindi è importante scegliere la stagione in cui visitarle. Ad esempio il mese di dicembre (ed alcuni giorni di gennaio), è caratterizzato dalla Notte Polare, che alle Lofoten si traduce nella presenza di una leggerissima luce crepuscolare durante le ore centrali della giornata.
Il capoluogo è Svolvær, situato nella regione di Vågan. Questa città pullula di pescherecci ed imbarcazioni, è il punto di attracco delle grandi navi della Hurtigruten. Inoltre da qui partono tante interessanti gite ed escursioni in barca, traghetto o gommone per esplorare il panorama e la fauna locali. Una di queste è quella che porta verso il Trollfjord, il più piccolo fiordo norvegese (o almeno così amano definirlo i locali), che misura appena 2 km, ma cela tra le sue placide acque apparentemente nere per il riflesso delle montagne scure circostanti, uno spettacolo senza pari…
… la danza delle meravigliose aquile marine dalla coda bianca. Esse si librano nell’aria e con precisione chirurgica afferrano i pesci. Ormai da tempo sono abituate alla presenza di curiosi turisti, pronti a fotografarle mentre i capitani delle imbarcazioni lanciano loro del pesce. Non è raro incontrarle libere e selvagge anche in altre zone del paese, spesso ne ho viste lungo il tragitto ed è sempre un’immagine che lascia incantati.
Le montagne delle Lofoten sono un’ambita meta per l’hiking, attività svolta principalmente durante il periodo estivo, sebbene interessante anche nell’inverno polare, magari affidandosi all’esperienza di qualche guida locale, perché gli strati di neve celano spesso sentieri impervi o altri rischi non facilmente visibili. Una di queste vette è la particolarissima Svolværgeita, la cui forma è assolutamente unica nel suo genere. Essa si erge come una silente osservatrice sopra a Svolvær. Pratica abbastanza comune è quella di saltare da una cima all’altra della montagna, sfidando il dirupo. Abbastanza coraggiosi da provare a farlo? E proprio a poca distanza dalla città c’è un’altra osservatrice silente: Fiskerkona, la moglie del pescatore. Una statua che esprime amore, coraggio e malinconia nel contempo. Essa saluta i pescatori che si avventurano per mare, ricordando loro di fare ritorno al proprio focolare, sani e salvi.
In antichità le Lofoten vennero abitate dai vichinghi, del loro passaggio e degli insediamenti c’è traccia ancora oggi. Proprio sull’isola di Vestvågøy si trovano i resti dell’abitazione vichinga più grande della Scandinavia. Si trattava della dimora di un capo oggi adibita a museo, il Lofotr Viking Museum, dove vengono regolarmente organizzati eventi, celebrazioni ed attività. Personalmente la visita non mi ha lasciata particolarmente entusiasta, non perché il luogo non sia ben attrezzato o privo di fascino, anzi! Ci sono interessanti filmati e materiali educativi, le ricostruzioni sono certosine. L’ho trovato poco autentico, dal momento in cui tutto al suo interno è ricostruito a scopo puramente turistico. Ho preferito i resti di abitazioni e cimiteri visti in Danimarca nello Jutland.
Sull’isola sono presenti anche altri luoghi di interesse culturale e storico, come i bunker della seconda guerra mondiale, chiese, piccoli musei e caratteristici villaggi di pescatori dove si può incappare anche nel più antico rorbu mai costruito, risalente al 1100 e.v.. I rorbu sono delle abitazioni palafittiche riconoscibili dal loro colore rosso, usate dai pescatori, adibite a capanni per gli attrezzi o vere e proprie dimore, oggi spesso convertite in confortevoli alloggi per chi vuole vivere un’esperienza autentica in riva al Mare di Norvegia.
Ovunque si voglia andare il consiglio è quello di non pianificare troppo e lasciarsi trasportare, perché ogni scorcio di queste isole toglie il fiato, sia esso turisticamente noto o meno. E a tal proposito è impossibile non citare alcuni dei luoghi più amati, soprattutto dai fotografi. So che solitamente le spiagge sono così trafficate da rendere difficile, a volte addirittura impossibile, l’appostamento. Non so se sia stato il caso o la fortuna, io ho viaggiato i primi giorni di febbraio e lungo il mio percorso non ho incontrato anima viva. L’unica spiaggia su cui erano presenti dei gruppetti di fotografi è stata la sabbiosa Haukland. Parlo in ogni caso di una decina di persone al massimo. E proprio qui ho catturato uno degli spettacolari tramonti nordici, sempre carichi di magia.
Proprio alle sue spalle, sorge un’altra celebre spiaggia (forse la 2° più famosa di tutte), stavolta caratterizzata da grosse pietre: Uttakleiv. Essa si estende tra due grosse montagne e vista al tramonto è il luogo perfetto in cui fermarsi a meditare, godendo dello spettacolo della natura circostante.
Non molto distante, si trova Eggum, un punto panoramico suggestivo per i resti del fortino risalente al periodo della guerra. Da lì parte un sentiero che arriva fino al faro.
Il primato lo detiene senza dubbio la fotografatissima Skagsanden. Se si parla di Lofoten, l’immagine di questa spiaggia è forse una delle più evocative, facilmente riconoscibile grazie all’unicità del suo profilo. Che sia di giorno o di notte, essa attira innumerevoli curiosi. Di indubbia bellezza, è un vero e proprio must see, come d’altro canto anche tutto il resto delle isole! Io l’ho trovata sferzata da un gelido vento e ricoperta da uno strato di ghiaccio. Il suo fascino durante l’inverno è qualcosa di difficilmente descrivibile.
E rimanendo in tema di fotografia, un altro luogo molto singolare è Henningsvaer, un piccolo villaggio di pescatori raggiungibile attraverso un percorso panoramico (quale strada delle Lofoten non lo è?) che lo collega all’isola principale tramite un ponte. Ospita una spartana chiesetta, negozietti, botteghe artigiane ed infine l’Henningsvær Stadion, lo stadio più spettacolare che potrete mai vedere. Non tanto per le sue fattezze specifiche, quanto per lo scenario in cui si trova. Vedendolo mi sono fatta la domanda più infantile del mondo: ma se il pallone dovesse finire fuoricampo?
Un altro villaggio di pescatori che conta pochissimi abitanti è Nusfjord. Forse il mio preferito tra tutti, piccolo, nascosto, celato tra le vette minacciose, ha l’aspetto caratteristico del luogo in cui sorge, è come se vi si respirasse un’aria d’altri tempi.
Proseguendo nella ricerca di panorami suggestivi, come non citare Hamnøy? Lo scatto per antonomasia, rappresenta letteralmente le Lofoten, uno scorcio mozzafiato. Si trova lungo la strada per Reine, considerato uno dei luoghi più belli delle isole, situato sul Reinefjorden.
E per concludere questo breve (ma intenso) tour, come in un riavvolgimento lento, approdiamo nel luogo da cui ho iniziato l’esplorazione delle isole: Å. Il paese con il nome più corto al mondo. Oltre a rappresentare l’ultima tappa di questo articolo, l’ultima città dell’arcipelago (quella più a sud), è anche l’ultima lettera dell’alfabeto norvegese! Si tratta di un antico villaggio di pescatori, che ospita i Norsk Fiskeværsmuseum e Lofoten Tørrfiskmuseum, rispettivamente museo della pesca e dello stoccafisso.
Desidero, prima di concludere, aggiungere una piccola parentesi personale, perché è una realtà che rimane ancora a molti ignota, ma è di enorme rilevanza ed impatto. La Norvegia è un noto produttore di un’ulteriore eccellenza: il Laks, ovvero il salmone. La sempre crescente domanda internazionale di questo prodotto ha fatto si che si diffondesse la pratica di allevamento, facilmente riconoscibile grazie alla presenza di strutture metalliche nelle acque limitrofe alle rive. Questo straordinario pesce vive in condizioni del tutto eccezionali, si sviluppa nuotando controcorrente, facendo immensi sforzi per giungere nel luogo preposto alla deposizione delle uova. Di contro, all’interno delle vasche predisposte per il suo allevamento, non ha letteralmente spazio per poterlo fare. Vengono ammassate quantità spaventose di pesci che nuotano nei propri liquami, spesso affetti dai pidocchi di mare che gli provocano piaghe, si mordono tra loro, vivono nelle proprie deiezioni di cui si nutrono assieme ad altri mangimi insalubri con cui vengono fatti ingrassare. Il tutto addizionato da antibiotici per renderli commestibili. Questo orrore oltre ad essere veramente disumano (e qui non si parla di essere vegetariani, vegani, animalisti o attivisti, ma di crudeltà gratuita presente in ogni forma di allevamento intensivo), è tremendamente pericoloso tanto per l’ambiente globale quanto per la nostra salute personale. Una devastazione silente, perché quelle pacifiche vasche di cui nemmeno percepiamo la presenza, riversano nel mare talmente tanti rifiuti, da aver contaminato le zone circostanti al punto da far quasi del tutto scomparire le specie autoctone, come il salmone norvegese selvaggio per l’appunto. Quest’ultimo ha la tipica colorazione rosata grazie alla sua alimentazione naturale a base di krill, viceversa i pesci di allevamento vengono colorati a posteriori. Si tratta di un prodotto di lusso, da sempre ha un costo elevatissimo ed è proprio per abbattere questo costo, che sono nati gli allevamenti. Essi consentono uno smercio ingente per approvvigionare tra le varie supermercati e ristoranti giapponesi (o per meglio dire sushi fast food). Se si vuole mangiare un buon prodotto, bisogna riconoscere il suo valore, perché il contrario significa scendere a compromessi accontentandosi di un “surrogato”, che fa pagare un prezzo elevatissimo alla nostra salute ed a quella ambientale. E non da ultimo, crea un grave danno economico anche ai pescatori locali impegnati nella pesca del salmone selvaggio. Consiglio vivamente la visione di Artifishal, un documentario che tratta l’argomento.
In conclusione, le Lofoten mi hanno profondamente colpita ed ammaliata, forse sono il posto più suggestivo e spettacolare che io abbia visto in questo mio incredibile viaggio (anche se il mio preferito è un altro, che svelerò a breve). Di certo è stata la tappa che ho fotografato maggiormente. Hanno rappresentato una moltitudine di cose per me, ne ho vissuto il fascino e l’isolamento. Mi hanno regalato un inaspettato ed insperato spettacolo di Aurora Boreale l’ultima notte di permanenza, dopo giorni di maltempo e cielo coperto. Qui ho sperimentato anche la paura, quando nel bel mezzo del nulla nel buio assoluto, si è accesa la spia del motore… O lo sconforto, quando ho speso l’equivalente di un mutuo per acquistare dapprima 6 lattine di birra analcolica e poi altre 6 di “leggermente alcolica” (3,5%), vendutami da una alquanto ebbra e paonazza proprietaria dell’alloggio in cui mi sono fermata. Ma a darmi il coraggio è stata una cosa su tutte: i temerari vecchietti solitari ai bordi delle strade, che trascinavano per chilometri i loro pesanti trolley contenenti cibo, incuranti delle intemperie o delle avversità. Vivono con totale naturalezza in questi luoghi impervi e remoti, forgiati dagli sferzanti venti, felici di vivere e pieni di energia. Un contrasto incredibile se penso a tutti i comfort a cui sono abituata nella mia città. Una preziosa lezione di crescita!